Storia del capo passepartout più utilizzato: la t-shirt.

Nuova puntata della rubrica che vi racconta la storia dei capi che abbiamo nel nostro armadio.

Sappiamo davvero da dove arrivano?

Probabilmente no, ma nemmeno io lo sapevo finché non ho iniziato questo lavoro!

Visto anche che è perfetta per questa stagione, parliamo della maglietta: capo che tutti, ma proprio tutti hanno nell’armadio. E che funziona quasi su tutto.

Partiamo dall’etimologia

La t-shirt deve il suo nome proprio alla sua sagoma a forma di “T” che è conferita dalle maniche corte, girocollo e dal taglio del busto dritto.

Storia

La storia della t-shirt bianca ha radici molto lontane: già in età antica esistevano capi di abbigliamento analoghi con maniche di varia lunghezza, ad esempio presso gli Etruschi.

E nel periodo rinascimentale era presente già qualcosa, ma la maglietta bianca cominciò a diffondersi soprattutto a partire dal XVIII secolo, ed era proposta come indumento intimo da portare sotto ai vestiti.

Fino alla fine dell’Ottocento la classica maglietta a cui oggi siamo abituati era considerata un indumento intimo che sarebbe stato scandaloso esibire in pubblico.

È stata ufficialmente immessa nel mercato nel 1904, con una réclame della Cooper Underwear Company che pubblicizzava una “canottiera per scapoli” elastica e a girocollo. “Nessuna spilla, nessun bottone, nessun ago” recitava lo slogan della Cooper, un’azienda di abbigliamento specializzata nell’intimo. Questa azienda mirava a vendere il suo nuovo prodotto agli uomini senza grandi abilità di cucito.

Non fu però proprio la Cooper a lanciare il design della t-shirt. La maglietta veniva da esperimenti già condotti nell’arco del XIX secolo per inventare un capo d’abbigliamento pratico ed elastico, ma la Cooper riuscì a rendere popolare proprio la forma del “girocollo di cotone”.

L’idea ebbe talmente tanto successo che l’anno seguente la marina americana obbligò i suoi marinai a vestire questo capo sotto l’uniforme.

Negli anni Quaranta, le forze armate statunitensi adottarono la maglietta a girocollo come parte fondaentale della divisa per i propri uomini. L’uso della maglietta si diffuse quindi largamente in Europa durante la seconda guerra mondiale.

E poi?

La diffusione della maglietta come indumento d’abbigliamento, all’infuori dell’utilizzo intimo o da lavoro, si consolidò ulteriormente negli anni Cinquanta, quando la moda americana si diffuse in tutto il mondo attraverso il cinema.

Sono stati attori celebri come James Dean o Marlon Brando, sex simbol e vere e proprie icone di moda, a farla diventare una divisa intramontabile che da quel momento entrò definitivamente nella moda contemporanea. Indossandola sul grande schermo sopra un paio di jeans e sotto un giubbino di pelle, l’hanno resa popolare e iconica allo stesso tempo.

Ulteriore impulso alla diffusione arriva grazie agli sviluppi della stampa serigrafica, tra gli anni ’50 e ’60. Basta pensare alla serigrafia che ritrae il volto di Marilyn Monroe, realizzata da Andy Warhol nel 1962, a partire da una fotografia di Gene Korman usata per pubblicizzare il film Niagara del 1953.

Dagli anni Ottanta in poi la t-shirt divenne anche un mezzo semplice, immediato, forte e potente per divulgare messaggi di ogni genere, da quelli politici a quelli più ironici, passando per l’arte e la musica.

Da qui venne sdoganata ed entrò a far parte dell’abbigliamento informale e casual, indossata da operai durante l’orario di lavoro, sia per la sua comodità, sia per la mancanza del colletto, che all’epoca era visto come elemento distintivo di eleganza, tipica delle classi più abbienti.

Tipologie

Inizialmente è stata prodotta per gli uomini, quindi era di taglio maschile, spesso con taglie abbondanti. Era un capo maschile a tutti gli effetti. Ed è stato così per lungo periodo, anche se le donne le indossavano comunque.

Dal duemila circa invece sono iniziati a spuntare anche modelli dedicati alle donne, quindi con spalle più piccole, meno accollati, o con scolli di forma diversa. Spesso hanno vestibilità più aderenti e possono essere anche sfiancate.

La forma a T rimane comunque invariata, anche se viene realizzata a maniche lunghe. Sia per uomo che per donna.

Curiosità curiose

Fino alla fine dell’Ottocento a Cuba c’erano addirittura leggi che proibivano agli operai di lavorare sotto il sole con le t-shirt.

Negli anni Quaranta, come ci racconta Nancy Pepper, una giornalista che al tempo immortalò il cambiamento negli armadi di milioni di giovani americani, scrisse che i ragazzi avevano ormai cassetti pieni di t-shirt. E che avevano iniziato a personalizzare con pezze fatte in casa e frange. Alcuni ragazzi le indossavano anche per segnalare la loro disponibilità, scrivendo vicino al colletto«Neck here» dove «Neck», in gergo, significa anche baciarsi.

Infine…

Le possiamo trovare realizzate in tantissimi tessuti, naturali come cotone, lana, talvolta di lino o bambù, e vari mix di queste fibre. Ma si utilizzano anche fibre artificiali come il modal, soprattutto per le magliette intime e in viscosa così l’aspetto rimane lucido.

Infine si usano fibre sintetiche come microfibra, polyestere e lycra per realizzare tutte le t-shirt dedicate allo sport, perché permettono di seguire bene i movimenti e aumentare la traspirabilità. Anche per far si che il sudore asciughi in fretta. Spessissimo si usano materiali molto elasticizzati e confortevoli, proprio per garantire quelle caratteristiche di facilità e velocità all’indosso e anche per garantire che sia confortevole.

E tutti i marchi le producono, sia low cost che high end, e ne esistono mille e più varianti diverse.

Quindi è un capo con una storia relativamente breve, ma intensa, visto che tutti sappiamo cos’è e tutti ne abbiamo almeno una nell’armadio. É anche uno strumento di comunicazione, a volte a livello politico, a volte solo per esprimere la propria personalità. Ed è molto comoda, bianca classica e semplice sta su tutto e ha salvato più di un outfit e più di una situazione.

Quante ne avete nell’armadio? Io troppe!

Al prossimo approfondimento!

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