Stilisti che hanno fatto la storia: Alexander Lee McQueen

In questo giorni mi è tornato sotto mano un bel tomo illustrato su Alexander MacQueen, e sfogliandolo mi è venuta voglia di parlarne con voi. L’ho consigliato su Instagram nell’ultimo post e poi ho deciso anche di scriverne un po’ qui.

Inutile dire che è uno stilista che mi piace molto, ha uno stile e un gusto a tratti estremo e drammatico che attira la Drama Queen che è in me, ma soprattutto era un bravissimo sarto che conosceva perfettamente tagli, tessuti e strutture.

Iniziamo?

Biografia

Nasce a Lewisham il 17 marzo 1969. Figlio di un tassista, McQueen lascia la scuola all’età di 16 anni per entrare subito nel mondo del lavoro. Lavora per Salvie Row, Gieves Hawkes, per i costumisti teatrali Berman & Nathans e all’età di 20 anni si trasferisce a Milano per lavorare da Romeo Gigli.

Nel 1992 torna a Londra per completare la propria formazione presso la prestigiosa Saint Martin’s School of Art. Al termine di questo ciclo di studi presenta una collezione che colpisce la talent scout, stylist e icona del fashion system internazionale, Isabella Blow, sua futura musa ispiratrice, migliore amica e artefice del suo successo. Lei acquisterà tutti i suoi pezzi mozzafiato liberamente ispirati alla leggenda di Jack Lo Squartatore, e lo lancia ufficialmente nell’empireo della moda.

Nel 1996 McQueen diventa direttore creativo di Givenchy al posto di John Galliano, dove rimarrà, fra alti e bassi fino al 2001, anno in cui abbandonerà la maison definendola costrittiva per la propria creatività.

In questo periodo Alexander McQueen fa conoscere il proprio nome nella scena dell’alta moda con sfilate trasgressive e scioccanti, al punto di essere definito “hooligan della moda”.

Dal 2001 lo stilista è entrato a far parte del gruppo fiorentino Gucci ed ha espanso la propria produzione aprendo nuove boutique a Londra, Milano e New York, e lanciando sul mercato il profumo Kingdom.

Nel 2003 ha collaborato con la Puma per la realizzazione di una linea di scarpe da ginnastica.

Sfilate celebri

Nel 1998 per la sfilata con la sua No.13 porta in scena la robotica, trasformando la top model Shalom Harlow in una tela umana dipinta da bracci meccanici per la verniciatura industriale che sparano getti di colore sul suo abito di tulle bianco.

Nella stessa sfilata provocatoria a portato in passerella la modella Aimee Mullins, amputata delle gambe, che a grandi passi ha attraversato la passerella su protesi in legno di olmo finemente intagliato.

Nel 2000, nella sfilata Voss, le modelle si dimenano chiuse in un cubo di specchi che rappresenta, idealmente, una clinica psichiatrica al centro della quale posa, nuda e avvolta da falene, la scrittrice Michelle Oley.

Nel 2003, in Deliverance, le sue donne indossano abiti corsetto e riproducono la scena iconica del film Non si uccidono così anche i cavalli? in una sfilata che gli regala il titolo di più grande artista della moda.

Nel 2006, riabilita una Kate Moss sbattuta in prima pagina sul Daily Mirror con l’allora fidanzato Pete Doherty mentre sniffa cocaina, rendendola un ologramma virtuale sulla passerella e, di fatto, sottraendola alla condanna colletiva.

E ancora nel 2007 dedica all’amica Isabella Blow, appena scomparsa, un enorme cavallo alato che solca la pedana illuminando tutta la platea. E porto in scena la caccia alle steghe.

Per il suo ultimo show, Plato’s Atlantis dell’ottobre del 2009, porta in passerella figure aliene, un po’ rettili, un po’ umane, che sfilano indossando abiti dalle stampe animalesche. Queste stampe furono realizzate, per la prima volta, con l’ausilio del digitale. Le modelle sfilarono con ai piedi le indimenticabili Armadillo Shoes, scarpe con altissimi plateaux a forma di zampa, praticamente importabili. Si vocifera che più di una modella pianse nel back stage davanti a questa prospettiva e alcune tentarono addirittura di rifiutarsi di indossarle.

Stile

Alexander McQueen ha una creatività visionaria, legata ad un immaginario gotico e a un concetto di morte piuttosto radicato. Le sue silhouette gotiche ed eclettiche insieme, il suo gusto per il macabro e misterico è sempre sostenuto da un’arte sartoriale eccelsa.

Dichiarava spesso che per fare quello che faceva lui bisogna “avere incubi frequenti, ricordarseli e saperli disegnare”.

La provocazione e l’arte nel scioccare il pubblico in sfilata è nient’altro che la trasposizione delle sue stesse paure e inquietudini. McQueen riesce perfettamente a tradurre tutto questo incanalando le sue tensioni psicologiche nella sua forza creativa.

Trova un nuovo utilizzo per il tartan, che nella collezione Highland Rape diventa metafora della sottomissione della Scozia all’Inghilterra.

Crea i rivoluzionari bumsters, i pantaloni a vita bassissima, che definiscono l’idea di scollatura sul lato B.

Utilizza in modo maniacale l’arte sartoriale dei drappeggi e dei tessuti intrecciati o intarsiati, le giacche con corsetto, ed esplora il bondage in modo sempre raffinato.

Riconoscimenti

Nel corso della propria carriera, McQueen ha vinto il riconoscimento di “stilista inglese dell’anno” per quattro volte dal 1996 al 2003, ed ha vinto il premio “stilista dell’anno” dal consiglio Fashion Designer Awards nel 2003.

Nel 2010 lancia la sua ultima collezione di abiti, diventata famosa a livello mondiale nel giro di poco tempo: Plato’s Atlantis. Questa collezione è stata definita come una delle sue migliori, nonché punto di svolta che ha cambiato il futuro della moda.

Curiosità

Era un ragazzo dal carattere ribelle, non a caso veniva definito hooligan della moda, e i suoi gesti irriverenti lo portano a sfidare le regole molto spesso.

Ad esempio si vociferava che nei suoi anni londinesi McQueen si divertisse a scrivere sconcezze sulle fodere blasonate delle giacche dell’erede al trono del Regno Unito.

Ed è lo stesso Romeo Gigli a raccontare come, negli anni milanesi, dopo averlo ripreso per la scorretta confezione di una giacca, McQueen avesse inserito in una cucitura nascosta all’interno dello stesso capo la scritta «Fuck you, Romeo»…

Morte

Alexander McQueen è stato trovato morto suicida poco tempo dopo la morte della madre nella sua abitazione londinese l’11 febbraio 2010 all’età di 40 anni.

La vita di Alexander McQueen, non è stata solo sfavillanti sfilate e moda. È stata minata da una profonda forma di depressione e da una serie di eventi infausti che accentuano la sua già marcata sensibilità, trascinandolo in un vortice di dolore e malessere che gli è poi stato fatale.

L’attrazione e repulsione per la morte, che spesso è protagonista silente delle sue creazioni e del suo immaginario, si concretizza presto in realtà. Sono le perdite delle persone a care a costellare gli anni del successo e a minare il tormentato animo dello stilista. Ma anche gli abusi subiti, l’utilizzo di stupefacenti e il rifiuto di ogni genere di aiuto medico.

Il suicidio dell’amica Isabella Blow e l’improvvisa morte della madre Joyce, il 2 febbraio 2010, fanno emergere il lato oscuro, fragile e sensibile di McQueen.Cche prende il sopravvento. Non basteranno gli onori che il mondo gli tributa per fargli superare la malinconia e la solitudine che, a pochi giorni dalla morte della madre, lo portano al tragico epilogo.

La cantante Lady Gaga, sua grande amica, gli ha dedicato una canzone, Fashion of His Love, contenuta nel suo secondo album Born This Way, oltre che la sua performance ai Brit Awards 2010. Ha indossato le sue creazioni diverse volte, una su tutte nel video Bad Romance, scarpe armadillo incluse.

Dopo la sua morte, la direttrice creativa del marchio è diventata Sarah Burton, già assistente di McQueen dal 1996.

E’ stata lei, nel 2017 a disegnare l’abito da sposa per la tennista Serena Williams, passato alle cronache per essere il vestito da matrimonio più costoso mai realizzato da un brand. È costato la bellezza di 3.162.491 euro, ed è diventato immediatamente un’icona della moda.

Nel 2018 è uscito il documentario Alexander McQueen – Il genio della moda, diretto da Ian Bonhote e Peter Ettedguisu e dedicato alla vita del celebre stilista.

Se dovessi riassumere lo stile di Alexander McQueen lo definirei un punk che scriveva lettere di ringraziamento.

A presto!

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