A che punto è il mondo della moda?

Bella domanda, sono abbastanza sicura che al momento quasi nessuno sappia la risposta. Soprattutto chi lavora in questo settore, sta vedendo stravolgere tutto ciò che fino a dieci mesi fa era consuetudine, tradizione e quotidianità.

Comprensibile quindi che ci sia molto smarrimento.

Questo smarrimento però non significa che il sistema moda fosse perfetto e immutabile, tutt’altro. Mettere poi moda e immutabile nella stessa frase è davvero un ossimoro.

Rispecchia un sistema che ha funzionato molto bene fino al 2002 – 2004, fino quindi alla nascita del fast fashion. Con la produzione in Cina e la velocità di queste produzioni ha portato proprio alla non sostenibilità di tutta la filiera.

A causa della pandemia si è fermato di colpo un intero mondo economico ed è crollato velocemente, quindi ormai è evidente quanto non fosse poi così sano e solido.

Con il crollo di questo castello di carte si è visto quanto tutta la filiera fosse in sofferenza, quanto ormai fosse ora da tempo di cambiare le cose e adeguarsi ai nuovi tempi che corrono e alle nuove correnti di pensiero dei consumatori.

Certo, le grandi aziende strutturate fanno ancora molta resistenza rispetto ad un cambiamento in favore di sostenibilità etica e ambientale, continuano a lanciare sul mercato circa 50 collezioni all’anno, spostando semplicemente il mercato dal negozio fisico al web. Spingendo comunque ad un acquisto compulsivo e facendo leva sulle paure della pandemia “spediamo tutto a casa, senza esporti al contagio, non è magnifico?”.

Fortunatamente molti attivisti e operatori stessi del comparto moda stanno raccontando cosa succede veramente, raccontando le belle realtà e le aziende virtuose ed etiche e mettendo in luce anche il lato oscuro della moda, delle aziende in far east e tutte le dinamiche di sfruttamento umano ed ambientale che gravitano attorno.

Io credo che il mondo della moda sia ad un punto di svolta, e ora ci sia l’occasione veramente di cambiare, di rendere le aziende, non solo i piccoli artigiani, più etiche e rispettose di ogni passaggio della filiera. Rispettose anche dei consumatori, di coloro che indossano i vestiti ogni giorno e che spesso vengono discriminati per taglia, età o sesso. Non abbiamo bisogno di negozi pieni di roba che stanno ben solo ad una 38/42, abbiamo bisogno di abiti che rispettino il corpo e che ci facciano stare bene nelle sfide quotidiane che ognuno di noi deve affrontare. Ecco, questo secondo me dovrebbe essere l’ideale per un nuovo rinascimento della moda. Potrebbe essere davvero la luce in fondo al tunnel, non ci resta che esplorarla.

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