22 marzo 2021: giornata mondiale dell’acqua.

Foto: www.aboratoriaperti.netsons.org

Con qualche giorno di ritardo arrivo anche io a parlare di acqua, soprattutto di come viene usata nel campo della moda.

Sfortunatamente, anche in questo caso la moda non ne esce molto bene. Si stanno facendo progressi, e questo è ammirevole, ma ancora i passi da fare sono molti.

Partiamo dallo stato attuale descritto dalla Ellen MacArthur Foundation:
“Il consumo di acqua è eccessivo, e spesso avviene in aree già povere di risorse idriche.
L’industria tessile (compresa la coltivazione di cotone) usa circa 93 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno, cioè il 4% dell’acqua potabile globale.
La maggior parte della produzione di cotone è situata in Paesi che già di per sé soffrono la carenza di acqua potabile come Cina, India, USA, Pakistan e Turchia.
In Cina, per esempio, dall’80% al 90% dei tessuti, filati e fibre a base plastica sono prodotti in regioni che soffrono la scarsità di acqua.
Inoltre, anche il post-vendita comporta un uso esagerato di risorse; si stima che per la cura dei capi si consumino ulteriori 20 miliardi di metri cubi di acqua all’anno”. Ellen MacArthur Foundation, A new textiles economy: Redesigning fashion’s future,

L’industria tessile e della moda sono da tempo sotto accusa per la scarsa sensibilità nei confronti dell’ambiente, in quanto implicano una lunga e complessa catena di approvvigionamento, e spesso sono stati chiusi entrambi gli occhi davanti alle conseguenze.

Si include ovviamente anche la filiera agricola (per la coltivazione di cotone), la produzione petrolchimica (per la creazione di fibre), la logistica e la vendita al dettaglio. La supply chain della moda in un anno produce l’8-10% delle emissioni globali di CO2 con 4-5 miliardi di tonnellate, consuma 79 trilioni di litri d’acqua, ed è responsabile di circa il 20% dell’inquinamento idrico e del 35% di quello microplastico.

Focus sull’acqua.

Oggi ci concentriamo sulle risorse idriche. L’acqua dolce, che quindi è utile alla vita di animali, piante ed esseri umani è il 2,5% del totale, il resto è acqua salata. E di questo 2,5% solo lo 0,25 % è utilizzabile direttamente, il resto è sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari. Capite che la percentuale è davvero bassa, soprattutto se relazionata all’utilizzo che ne facciamo quotidianamente.

Spesso non ci pensiamo, ma non usiamo l’acqua solo per bere o cucinare. Viene utilizzata in molti processi produttivi, nell’agricoltura, nell’igiene e in tanti altri settori che non ci immaginiamo neppure. È una sorta di consumo occulto, perché non lo vediamo direttamente, ma c’è e pesa parecchio nel bilancio generale del consumo idrico.

Nella produzione di abbigliamento l’utilizzo dell’acqua è fondamentale, e molto diffuso, ora andiamo a vedere come.

Qualche esempio pratico.

Una maglietta per essere prodotta richiede mediamente 2.700 litri d’acqua, concentrati soprattutto nella produzione del cotone, lavaggi della fibra e filatura, e proprio anche nella coltivazione. Mentre per un paio di jeans si sfiorano i 10 mila litri, utilizzando anche fibre e coloranti di sintesi.

La produzione dei jeans, inoltre, è molto controversa, perché richiede una serie di operazioni e passaggi che spesso e volentieri inquinano e minano la salute dei lavoratori.

Mi spiego meglio:

  1. partiamo dalla produzione di cotone, i jeans sono fatti d solito dal 90 al 100% in cotone, la cui produzione è altamente inquinante per l’uso intensivo di pesticidi chimici, fertilizzanti e acqua per le coltivazioni.
  2. L’utilizzo di acqua nei processi tintori, quindi elevato utilizzo di risorse idriche. Fattore aggravante è che queste acque tinte, dopo essere state utilizzate, vengono riversate in ambiente senza alcun tipo di filtraggio o risanamento. Quindi inquinano.
  3. Processi di sabbiatura dei capi (serve per ottenere quell’effetto un po’ usato a capo finito) ad opera di operai privi di adeguate protezioni e quindi elevato rischio di sviluppare malattie come la silicosi sul lungo periodo.
  4. Alla fine della produzione, quindi dopo che i capi sono stati cuciti, vengono ulteriormente lavati per ottenere l’effetto delavè o usurato che piace tanto ai consumatori.

E questi sono solo gli step generali, nel dettaglio i passaggi produttivi si differenziano tantissimo per ottenere milioni di combinazioni diverse, ma sono accomunati sfortunatamente dallo sfruttamento di risorse idriche in particolare, ambientali in generale e anche umane.

E questo accade perché non ci son leggi a tutela del territorio o dei lavoratori nei paesi in cui avviene materialmente la produzione. Anche in questo caso gli interessi commerciali vincono sulla tutela ambientale.

Quindi, riassumendo, nel settore moda l’acqua viene utilizzata:

  • nella coltivazione delle materie prime come il cotone che forniscono le fibre per i tessuti che vengono poi cuciti
  • nella produzione e colorazione dei tessuti
  • per lavare i capi alla fine della produzione o per ottenere effetti di invecchiamento su capi di moda come i jeans
  • in tutti questi passaggi l’acqua in uscita dal singolo processo produttivo risulta inquinata, da pesticidi e fertilizzanti, da agenti chimici coloranti e di fissaggio, da detergenti e detersivi e capita spesso che venga re introdotta in ambiente senza essere purificata e filtrata in alcun modo.

Quando finisce la catena?

Quando acquistiamo il capo e lo portiamo a casa. E poi lo indossiamo e lo laviamo. Anche in questi casi si utilizza risorsa idrica.

E allora cosa possiamo fare noi utilizzatori per ridurre il nostro impatto?

Anche la manutenzione dei capi, come detto, ha un impatto idrico, e qui però possiamo fare qualcosa applicando un po’ di buonsenso. Cioè evitando di lavare in modo compulsivo, in acqua, qualunque capo anche se è stato indossato poco tempo ed è a tutti gli effetti pulito. Oppure utilizzando programmi di lavaggio ad alto consumo di risorse elettriche, perché per andare alle alte temperature la lavatrice consuma energia elettrica. O idriche, usando programmi di lavaggio ad alto consumo. In tutte le lavatrici ci sono schemi molto utili in cui viene segnalato il consumo di energia elettrica e di acqua per ogni programma di lavaggio, in modo che possiamo scegliere quello che consuma meno.

L’ideale è utilizzare un programma ecologico, senza abusare di detersivo oppure usando detersivi a basso impatto ambientale. E avviare il lavaggio con la lavatrice a pieno carico. L’unico modo per non inquinare è, ahimè, non lavare affatto, ma sappiamo che non è proprio possibile. Ma usare un po’ di accortezza si, e fa tantissima differenza.

Oltre alla manutenzione possiamo scegliere di acquistare i nostri vestiti da aziende virtuose attente a queste tematiche, che producono vicino a noi, e con attenzione all’ambiente e ai lavoratori. Aziende attente a tutti i passaggi della filiera, che utilizzano cotone o fibre coltivate in modo sostenibile e che vengono colorate a baso impatto ambientale. E che non realizzano effetti di invecchiamento sui capi, che, abbiamo visto, sono passaggi che inquinano molto.

Ancora una volta il potere di cambiare le cose è nel nostro portafoglio, con i nostri acquisti possiamo veramente e realmente indirizzare il mercato verso scelte più sostenibili.

Sopravvissuti fin qui? Si dai, l’argomento è spinoso ma molto interessante. E comunque è bene conoscere tutti gli aspetti del processo. Poi si può scegliere qualunque cosa, ma almeno è una scelta informata. Ed è quello che mi sta a cuore. Ci pensate, cerchiamo l’acqua su Marte ma non riusciamo a tenere pulita quella qui sulla Terra.

A presto con un nuovo approfondimento!

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